Con la concretezza, univocità e rilevanza, Monte riacquista onorabilità
di Nico Baratta
La stampa, giustamente e prontamente, ha già diffuso la notizia. Lo ha fatto nella stessa giornata cui la sentenza è stata resa nota. Stiamo parlando –e il titolo è comprovante- di una delle decisioni assunte dai giudici riguardo il caso dello scioglimento del Consiglio comunale di Monte Sant’Angelo. Per la gioia di molti, contestualmente per i dolori di altri, il Tribunale di Foggia, Prima Sezione Civile, ha deciso in data 17.05.2016 che l’ex Sindaco del comune garganico, l’Ing. Antonio Di Iasio (nella foto), può candidarsi alle prossime elezioni. Sentenza passata favorevole anche per gli altri due inquisiti parte organica dell’assise montanara, l’ex Assessore Vincenzo Totaro e l’ex Presidente del Consiglio comunale Damiano Totaro. Il rigetto, n° 2042/2016 del 26/05/2016, attivato a seguito della nota 15900/B/107/2015 del 7.8.2015 trasmessa dal Ministro dell’Interno (Angelino Alfano) per le vicende di infiltrazione mafiosa nel comune sopradetto, da parte del Tribunale dauno e grazie al lavoro dei legali di Di Iasio ha trovato permeabilità in tutte le motivazioni assunte quando fu adottato il procedimento giurisprudenziale previsto dall’art. 143 del d. lgs n° 267 del 2000 del TUEL. Va detto, il lavoro dei quattro legali in difesa di Di Iasio, il Prof. Avv. Franco Gaetano SCOCA, l’Avv. Stefano Salvatore SCOCA, l’Avv. Antonio SENATORE e l’Avv. Lucia MURGOLO, ha sortito gli effetti legalmente giusti e non solo desiderati come molti potrebbero pensare; da giustezza a desiderio la differenza è notevole e, nel primo caso, palesa tutta correttezza nel comportamento dell’ex Sindaco. Difatti, la sentenza è chiara: sommariamente dice che non sussistono elementi concreti, rilevanti e univoci circa il collegamento e/o condizionamento tra il Sindaco e i suoi amministratori (i due Totaro) da una parte e taluni soggetti appartenenti a organizzazioni mafiose, dall'altra. Una vittoria, quella di Di Iasio, che è un primo passo importante verso la riappropriazione della credibilità e onorabilità sia dell’ex Sindaco, sia dei due Totaro, ma soprattutto per Monte Sant’Angelo e che per la cronaca non avrà nessuna correlazione con l’attesa sentenza, prevista nel mese luglio, del TAR Lazio riguardo il ricorso in opposizione al decreto del Presidente della Repubblica per lo scioglimento del Consiglio comunale.
Come mia abitudine ogni articolo che scrivo è frutto di fatti comprovati, scritti e ufficializzati, ma anche di sensazioni e testimonianze (per quest’ultime mi riservo di mantenere la segretezza delle fonti) carpite ascoltando il popolo. Seppur non l’ho fatto comprendere alle parti in oggetto, in uno dei giorni trascorsi dall’uscita della sentenza mi son recato a Monte e ho passeggiato tra la gente. L’ho ascoltata, l’ho interpellata sul caso, ed ho potuto apprezzare il sentimento verso la decisione assunta dal Tribunale di Foggia. Ho trovato un popolo montanaro diviso, ma di gran lunga favorevole alla discolpa di Di Iasio. Molti parlavano di “Giustizia è fatta, anche se in parte. Il Sindaco è persona corretta. Chi vuole la sua colpevolezza, si faccia un esame di coscienza sia umano sia politico. Monte non vuole il politico opportunista, ma quello produttivo secondo legge.”; pochi erano contrari giustificando il caso come “Era inevitabile in un paese da decenni in scacco alla mafia”; altri invece sembravano rassegnati per “Monte ormai vive con una politica belligerante che produce solo acrimonia e non economia locale”. E proprio su quest’ultima affermazione mi son soffermato a parlare con qualcuno, il quale ha fatto intendere che dietro le accuse popolari, non legali, mosse a carico della ex amministrazione locale c’è la mano politica. È cosa nota che l’indomani lo scioglimento del Consiglio comunale di Monte Sant’Angelo, il sottoscritto ha assunto liberamente un comportamento e una convinzione a favore del Sindaco e suoi collaboratori più stretti. Scelta non politica, bensì a fronte della minuziosa e certosina attenta lettura degli atti prodotti per la decisone che il Ministro Alfano assunse con l’elementare prodotto di documenti e trascrizioni di una Commissione Parlamentare Antimafia più di colore e sentore che di opportunità, decisione che doveva far chiarezza e non interrogativi. Le carte prodotte per tal infausta e “spinta” decisione non comprovavano unilateralmente la commistione tra mafia e amministrazione comunale, ovvero con gli organi politici, ma solo presunti legami tra loro componenti, o meglio conoscenze a fronte di saluti durante le feste cittadine, che in un paese con poco meno di tredicimila abitanti le parentele, le omonimie e i cognomi uguali, si avvicendano più che di padre in figlio e nipoti, tra cugini, cognati e affini. Se poi ci mettiamo che le imprese locali sono quelle che partecipano ai bandi pubblici e che sono l’economia interna, il gioco è fatto, anzi le deduzioni son tratte. Resta inteso che se il legame tra mafia e Ente era congiunto per rapporti avuti con dipendenti comunali e non amministratori politici, seppur alcuni di quest’ultimi figurano tra gli atti, la decisione doveva essere nominalmente personale e non pubblica. Con ciò non voglio scagionare chi è colluso con la mafia, con le famiglie di faide montanare presenti da decenni che hanno edulcorato, ammalorato e poi cancerizzato parte l’economia montanara del territorio dauno. Ma colpevolizzare chiunque solo per aver scambiato due parole con un affiliato, o presunto tale, alla mafia, che poi risulta conoscente, forse parente alla lontana, con un qualsiasi amministratore pubblico, ma diretto con dipendenti dell’ente, non è motivo di scioglimento di un ente pubblico. Forse potrebbe esserlo per i bandi pubblici che dovrebbero soddisfare aspettative per più imprese e non due come è avvenuto per l’appalto per i servizi cimiteriali, aziende regolamentate dalle leggi vigenti emanate dal Governo in materia di antimafia. Ma l’aspettativa, non la regolamentazione, potrebbe essere un’eccezione precipuamente legata al piccolo territorio che deve favorire la crescita di aziende locali. È ovvio che se il tutto si è svolto sotto minacce minatorie e intimidazioni a suon di kalashnikov, potrebbe essere giusto il provvedimento locale, ma inficia quello istituzionale di una Procura che doveva annullare il tutto, senza attendere future decisioni che poi avrebbe esposto seri amministratori sia ai tribunali, sia alla gogna mediatica e politica di controparte. Inoltre, in quel tempo, quando fu assunta dal Ministro Alfano la decisione di scogliere il Consiglio comunale di Monte Sant’Angelo, nella Caput Mundi si consumava le deplorevole immagine di una Roma Mafia Capitale. Una capitale apertamente collusa con la mafia, comprovante commistioni tra amministratori e mafiosi, tutti arrestati con prove alla mano, verifiche intercettate, filmate e registrate. La mia indignazione in quel periodo, e continua a esserlo, fu tanta poiché mi chiedevo come mai un Ministro, facente parte di un Governo vicinissimo a chi localmente “impiccava” mediaticamente Di Iaso & Co., potesse sciogliere sulla base di supposizioni il comune garganico e non quello capitolino dove si palesava l’affiliazione mafiosa tra politici e clan. Ciononostante per entrambe i casi continuo a supporre di arcani eventi più politici che legali e per la sicurezza pubblica. Ma alla fine la verità verrà alla luce.
Ascoltando Di Iasio si percepisce tutta la sua serenità per il caso. Un’impronta tangibile di chi ha governato secondo Legge «Abbiamo sempre avuto piena fiducia nella giustizia. Oggi non possiamo che esprimere grande soddisfazione rispetto alla sentenza del Tribunale di Foggia che ha rigettato la richiesta di incandidabilità. Le motivazioni contenute nella sentenza non lasciano spazio a dubbi e dimostrano l'assoluta assenza di qualsiasi responsabilità ascritta» ha dichiarato Antonio Di Iasio.
Ora, la legalità ha il suo imprescindibile valore che non va affatto confuso con imprecisione amministrativa. Ogni amministratore della Res Publica è chiamato a fare bene. Ma quando si è in campo bisogna far anche i conti con l’essere umano che non è perfetto e sbagliare è parte integrante di chi lavoro; chi non lavora non sbaglia. E se sbaglio in alcune procedure amministrative c’è stato, saranno i giudici del TAR a confermarlo. Ora il problema è l’onorabilità delle persone. Antonio Di Iasio merita tal appellativo. E con lui Damiano e Vincenzo Totaro, prosciolti dall’incandidabilità. La legge parla chiaro: La valutazione che va fatta, e che è stata formulata dal Tribunale di Foggia, grazie anche al lavoro dei legali di parte, deve rispettare tre fondamentali e imprescindibili elementi: concretezza, univocità e rilevanza. Una persona non può essere condannata se alla base manca l’elemento della validità delle accuse mosse contro di lei (concretezza). Come pure non si può essere condannati per ambigui eventi o diverse interpretazioni, ci vuole chiarezza fondata e comprovata (univocità). Lo stesso dicasi per la caratteristica degli eventi che deve fondarsi sulla sua totale veridicità in base all’importanza dell’accusa (rilevanza). Nei tre casi le supposizioni non sono prove, ma indizi e rimangono tali.
Notizia fresca di giornata è che il TAR Puglia (Seconda Sezione), in data 2° maggio 2016, sentenza n°00525/20165 Reg.Ric. ha annullato la sanzione interdittiva antimafia e ai provvedimenti del Comune sia per Damiano Totaro sia per Pasquale Benestare per la RSSA Sanitaria Service. Nella sentenza si legge che i due, ma in particolare Damiano che era vice presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa socio sanitaria assistenziale, erano stati accusati di aver assunto due donne, compagne di noti esponenti di spicco della criminalità organizzata montanara. Ma l’assunzione presso un’azienda privata, perlopiù di carattere cooperativistico e perciò di soci, non è subordinata a concorsi, bensì a scelte genuinamente professionale, alle loro capacità nel porsi in essere per la mansione richiesta. Tal particolare è importante ai fini assuntivi e non comprova per i due soci collegamenti diretti e/ o indiretti con la criminalità. Appunto, come detto per Di Iasio, mancano i requisiti previsti dalla norma ovvero che siano “concreti, univoci e rilevanti”.
Chi manca all’appello? Vincenzo Totaro, come detto, anch’egli prosciolto. La legge non accusa e poi cagiona pena a chi saluta, anche in modo apparentemente affettuoso secondo testimonianze fotografiche, affiliati a clan mafiosi. Ne tantomeno chi non ha ricevuto pressioni o condizionamenti comprovati indissolubilmente per alterare procedimenti amministrativi a lui affidati. Un furto d’auto, poi ritrovata l’indomani, non fornisce la certezza di intimidazioni. Ed anche qui mancano i requisiti previsti dalla norma ovvero che siano “concreti, univoci e rilevanti”.
Ultima riflessione, e ci ritorno volentieri, è per un uomo che ha tutto il diritto di ripresentarsi alle prossime elezioni amministrative, presumibilmente nel 2017. Parlo ancora dell’ex Sindaco Antonio Di Iasio, prosciolto con formula piena dalla legge. Una semplice denuncia per danneggiamento della propria automobile, risalente al 09.08.0206, in uso al figlio mentre si trovava parcheggiata, non è elemento legislativo concreto, univoco e rilevante per adottare l’incandidabilità. Forse le presunte commistioni che la Commissione Antimafia avrebbe supposto, e mai comprovato in modo concreto, univoco e rilevante nel formulare la posizione del Sindaco per le funzioni politico-amministrative e gestionali in materia di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico-amministrativo del comune, avrebbero potuto avvallare la decisione rigettata dal Tribunale di Foggia. Avrebbero dico, poiché il castello accusatorio verso Di Iasio cede nel momento in cui il Tribunale chiede concretezza, univocità e rilevanza dei fatti a lui ascritti. Un castello di sabbia fondato su presunzioni di colpa, indizi, supposizioni e vizi di forma procedurale della stessa Commissione, forse esasperate da acrimonie politiche volte da tempo a far cadere l’assise comunale. La difesa ha fatto bene a richiamare la sentenza della Cassazione, n° 10945/2015, che dice «l'esatta distinzione tra attività di gestione ed attività di indirizzo e di controllo politico-amministrativo non esclude che l'inerzia dell'amministrazione sia addebitabile all'organo politico quando non risultino le attività di indirizzo e di controllo dirette a contrastare tale inerzia». In altre parole gli elementi indicati non appaiono sufficienti ai fini invocati. Nel dettaglio l’ipotesi, e ripeto ipotesi, di mancata vigilanza e controllo dell’apparato burocratico-amministrativo del comune, che avrebbe prodotto la cattiva gestione dell’attività amministrativa, non può essere motivo concreto, univoco e rilevante per l’accusa mossa verso Di Iasio. Forse il danneggiamento dell’auto poteva risultare un elemento da analizzare. Ma anch’esso risulta equivoco e non concreto, univoco e rilevante giacché per la Legge, evidentemente non per la Commissione Antimafia, non permette di escludere qualunque altra ipotesi e perciò stabilire collegamenti tra le parti citate.
Con ciò, e termino, (e scusate la lungaggine del testo, ma le verità vanno dette nella sua interezza e citando sentenze legali), Monte Sant’Angelo e chi è stato scagionato da accuse infamanti e disonorevoli, hanno l’obbligo di riottenere onorabilità e credibilità. Tutte le beghe politiche di controparte, secondo un mio personalissimo parere e in funzione del Bene Comune e non privatistico per numeri elettivi prossimi, vanno messe da parte. Certo, lo scontro politico ci dev’essere se siamo in democrazia ma va alimentato senza infamie gratuite e ventilate nei social network e con note stampa surrogate da incontri, convegni e dibattiti improntati su bilanci di un comune commissariato.
“Le mezze verità diventano verità se le altre metà sono bugie”, una mia citazione. Meditate…!
Ad Maiora!
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