martedì 10 novembre 2015

Cyberstalking su carrozzella. La disabilità intimidita

di Nico Baratta

La storia che vi racconteremo riguarda un amico disabile su carrozzella, affetto da diplegia spastica. La sua storia è quella di tante persone che ogni giorno vivono dignitosamente con le proprie problematiche, senza farle pesare a chi gli sta vicino giacché hanno imparato ad essere autonomi. Ciò, però, non vuol dire che non sentono il bisogno di aiuto. Purtroppo sono persone che hanno un serio problema di salute e che all’occorrenza devono essere aiutate. La società civile, la nostra, lo impone. Ma, prima che avvenga ciò, dovremmo essere noi a dare aiuto, senza che ce lo chiedano, semmai accennandoglielo per non invadere la loro vita, per non forzare la loro autonomia, tanto voluta quanto richiesta. Questo noi lo chiamiamo rispetto, è educazione e senso pratico della vita. Ma, perché c’è sempre un “ma”, non è sempre oro tutto quello che luccica. Spesso siamo costretti a imbatterci in compagnie double-face, subdole, che ci tengono per mano per poi lasciarla in prossimità di un  burrone.
Primo, il nome di fantasia che utilizzeremo per raccontare la storia del protagonista, è un giovane pieno di vita, sempre sorridente. Primo è attivo su vari fronti socio-culturali. Non cammina. È un disabile intelligente e geniale affetto, come detto, da diplegia spastica costringendolo a muoversi sulla carrozzella. Meno di un anno fa Primo decise di entrare a far parte di un’associazione di volontari per diversamente abili. Gli dissero che, in quanto associazione onlus, non doveva sostenere alcun costo e che si autofinanziavano. In associazione, seppur carente di strumenti adibiti alla ricreazione e socializzazione, Primo trascorreva gran parte del suo tempo con altri volontari, normodotati e disabili. Lui era uno di quelli che aiutava chi non riusciva a utilizzare un computer. «Faremo tantissimi progetti, inseriremo i ragazzi nel mondo del lavoro e soprattutto garantiremo ai nostri ragazzi un futuro migliore» le parole che lo accolsero e che per Primo furono un’ancora e un riferimento. Il tempo trascorreva e gli strumenti non miglioravano. Ma non era un ostacolo per Primo. Lui era contento degli amici. Tuttavia il tempo passava ma di lavoro neanche l’ombra. Ciononostante Primo aveva gli amici, anche se un po’ di lavoro gli avrebbe fatto comodo. Il tempo continuava a passare e i soldi dell’associazione scarseggiavano, al punto che ad una sua richiesta di “tassare” l’iscrizione con pochi euro gli fu risposto con un secco no. Primo, dobbiamo dirlo, a differenza di altri disabili, non ha subito danni cerebrali e mettere a disposizione la sua intelligenza e quella genialità che lo contraddistingue, semmai con l’ausilio di computer, poteva essere un modo per aiutare chi non poteva farlo, standogli vicino per insegnar loro come fare. Ciò non era possibile perché l’associazione non avendo fondi e non cercando una retta all’iscrizione aveva esaurito le finanze. Ecco perché l’idea di “tassare” l’iscrizione con pochi euro poteva essere un salvacondotto per migliorare i servizi associativi. Del resto ogni associazione, anche onlus, prevede una quota d’iscrizione per ogni singolo associato. Primo, perciò, insistette su questa forma di contribuzione e prontamente dall’altra parte gli venne negata. Allora Primo decise di frequentare meno l’associazione per dedicarsi ad attività sociali diverse dalle solite.  Del resto e anche se era d’aiuto altri meno fortunati, a Primo sembrava che stare in quell’associazione fosse il solito “parcheggio” per chi siede su una carrozzella. 
E qui avvenne la svolta. Primo perse parte a una delle tante festicciole che l’associazione organizzava. La sua presenza, da subito, sembrò d’intralcio agli altri associati. Inizialmente a Primo parve che tal comportamento era dovuto alla maggiore attenzione verso chi aveva più problemi di lui. Ma poi, e con esplicite dimostrazioni, comprese che non era gradito. La goccia che fece traboccare il vaso fu, dapprima quando durante una festa Primo chiese di leggere in pubblico un suo pensiero d’amore e la risposta che ebbe fu «No!!! Tu chi sei per avere questo privilegio?», poi quando e sempre durante un’altra festa  si fece accompagnare da una sua amica che risultò non gradita perché non era un’associata. In quell’occasione gli dissero «Non ti permettere mai più di invitare persone che non fanno parte della nostra associazione». Insomma, tutte attestazioni di rifiuto con iniziali maltrattamenti verbali diventate poi esplicite avvisaglie manifestate direttamente a lui, anche attraverso social network e app per cellulari. Ogni giorno sempre la stessa storia «Vattene, che non ti vogliamo…. Hai capito che non ci servi?...Qui non ci devi più venire…» le frasi rivolte a Primo. Maltrattamenti che obbligarono la madre di Primo a recarsi in associazione per chiedere spiegazioni su co’ tanto odio verso su figlio. Ma anche la madre fu oggetto di ingiurie e maltrattamenti verbali.  Avete capito bene, anche alla madre. 
Ad oggi questi comportamenti verso Primo e sua madre continuano, tant’è che Primo ha scoperto che su un’app per cellulari è stato aperto un gruppo dove l’oggetto di divertimento è lui, ma negativamente. In altre parole lo ingiuriano. 
Comportamenti che palesano l’insano modus operandi di chi dell’associazionismo ne fa un mezzo per fini strumentalmente personali, al punto che i tantissimi amici che Primo aveva su un social network e che facevano riferimento a quell’associazione si sono cancellate dal suo profilo. Noi la definiremmo una vera debacle per chi ha rinunciato a Primo il quale, imperterrito e giustamente interessato a capire il perché, ha contattato un’amica che si è cancellata dal suo profilo. Una persona tutta “casa e chiesa”, timorata da Dio, che mangia “pane e Bibbia” a dire da Primo. Ebbene, anzi molto male, oltre a ricevere ingiurie dalla “santarellina samaritana”, ha ricevuto offese e minacce da suo marito, che gli ha dato dell’imbecille e avvisandolo che lo avrebbe denunciato, che gliela avrebbe fatta pagare e che gli avrebbe fatto del male, se non smetteva di infastidire sua moglie e chi frequentava l’associazione. Primo, e gli crediamo, ha solo chiesto spiegazioni; se questo è motivo di denuncia, per tutto quello che gli è stato fatto cosa dovrebbe fare Primo a loro? 
Vedete, il comportamento assunto nei confronti di Primo è persecutorio perché continuano e diventano sempre maggiori. Comportamenti da cyberstalking, e tutti sappiamo che la legge lo persegue. Questi sono maltrattamenti alla persona, che in questo caso assumono una forma più grave poiché rivolti a un disabile da parte di persone normodotate e che, tanto per non dimenticarlo, lo hanno ingannato pur di averlo in associazione. 
Ora Primo, a fronte di tal comportamento nei suoi confronti, è combattuto se dimenticare il tutto o denunciare l’accaduto. Del resto ha i tabulati scritti di quello che gli è stato detto, e per la Polizia Postale è un gioco risalire ai malfattori. Tuttavia sia lui, sia la famiglia, non vogliono beghe giudiziarie; un avvocato costa e la gente purtroppo parla senza conoscere la verità. Primo, ciononostante, continua a chiedersi il perché di tutto questo, e ci ha chiesto di non rendere pubblico il suo nome e quella dell’associazione. Ma ci tiene a salutarci con un suo messaggio: «Stanno continuando nelle loro pagine di …(il social network) a sminuirmi e a dipingermi come un cattivo, ineducato, solo perché non mi sono piegato ai loro voleri. Questo che mi viene fatto come si chiama? Io la chiamo ingiustizia!!! Un abbraccio e a presto!!».
A voi la libertà di crederci o meno. A voi le conclusioni.

Ad Maiora! 

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