lunedì 16 marzo 2015

Le pubblicità? Spesso un “carosello” antieducativo per i giovani ed offensivo per le donne

Abbiamo nostalgia del vecchio "carosello", dove le pubblicità davano anche indicazioni sociali positive. Ci meravigliamo delle caratteristiche riscontrate nell'uomo (violenza, sessismo, omofobia) e nei ragazzi:vivere per il futile e metterlo al primo posto nei desideri. Ma la colpa è anche nelle pubblicità.
Ricordo l’indignazione dell’allora Ministro per le pari opportunità Elsa Fornero che, in data 28 marzo 2013, fece sì che il governo ordinasse lo stop immediato di una pubblicità che evocava il femminicidio. La stessa precisava:-“Ho immediatamente provveduto a chiedere all’Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria il ritiro della pubblicità dello “straccio magico” visibile nei cartelloni affissi nelle strade della città di Napoli. Pubblicità siffatte, che prendono spunto dal drammatico fenomeno del femminicidio, oltre a svilire l’immagine della donna, istigano ad ingiustificati e gravissimi comportamenti violenti. L’attenzione per le donne ed i loro diritti – concludeva il Ministro – passa anche attraverso una pubblicità corretta che non svilisca la loro dignità”. Possiamo anche annotare che, oltre all’immagine con l’uomo che ripuliva le prove dell’omicidio, vi era anche quella di una donna che compiva gli stessi gesti. Poco bella, in ogni caso, anche quella.
La pubblicità, di cui siamo sommersi ogni giorno, cade nel vuoto o poco meno, quando s’impatta in persone che difficilmente la seguono con l’intenzione di prenderla sul serio. Ma se la percentuale di tali persone fosse alta, ovviamente non sarebbero tante e diversificate per prodotti le “categorie da colpire”. Evidentemente è il contrario.
Ad essere “preso di mira”, è spesso l’uomo, altrimenti non si spiegherebbero le tante pubblicità a sfondo erotico. Non le nomineremo, ma “accenneremo soltanto” a qualcuna: Un vino, la cui coppa, abilmente piazzata a livello giusto nella siluette di una donna, invita a degustare “la passera delle vigne…”; due seni di donna che invitano, invece, a degustare le mozzarelle; un viso di donna su cui è stato versato del latte, invita ad “allattarsi”; un bel culetto maschile tastato da mani femminili (…), pubblicizza salumi al peperoncino. L’elenco sarebbe lungo. Restando nel mondo al femminile, occorre dire che le donne sono presentate spesso con problemi che, al contrario delle pubblicità precedenti, Non stimolano l’attenzione dell’uomo. Quasi tutte “perdono” da qualche parte, qualche tipo di liquido. Molte “puzzano” e se ne preoccupano costantemente entrando in ascensore, praticamente tutte sono piene di peli ed hanno bisogno assoluto di un deodorante per essere accettabili. Anche gli uomini “puzzano” e, in ogni caso, sudano. A tal punto che, privati per un’ascella del loro deodorante preferito, non alzano e non usano il braccio “privo di deodorante”. Ma la donna che sta con lui comprende subito il problema: anche lei se non si riempie di deodorante, ahimè, emana cattivo odore, suda e macchia abiti e magliettine sexi. Sono poi numerosissime ed inquietanti le pubblicità rivolte verso i teenagers. Presi di mira dal settore, rappresentano purtroppo un importantissimo target group. Personalmente, come insegnante, mi sono spesso conto di combattere una battaglia contro un nemico troppo invadente ed agguerrito. Uno dei miei “giochi” era quello di chiedere alla classe in cui mi trovavo in una data ora ad insegnare, sia ai maschi che alle femmine, quali di loro indossino un capo firmato. Si alzavano alcune mani, si abbassano alcuni sguardi di chi non li indossasse e si percepiva il disagio per quella “mancanza”. Era il momento in cui, armata di un bel gesso bianco e di una gonna nera, scrivevo la mia sigla sulla gonna, sorridendo e diecevo:-”oggi sono uscita senza il capo firmato! Fa nulla, lo firmo io. La mia firma vale molto di più: è unica!” Poi, sotto lo sguardo divertito dei miei allievi, aggiungevo, fissandoli negli occhi uno ad uno:-“Firmate i vostri cervelli!”-
Le pubblicità li riempiono di stereotipi e falsi miti, li strumentalizzano, li convincono di non poter vivere senza di questo o quel prodotto di cui, appena un minuto prima, non conoscevano neanche l’esistenza (e forse non esisteva davvero). C’è da augurarsi che, fortificati in famiglia e/o, da una buona preparazione nelle scuole, i giovani, come parte interessata, in ambiti come moda e nuove tendenze, abbiano la capacità di utilizzare al meglio il mezzo pubblicitario assimilandone soltanto i contenuti che a loro interessano maggiormente. Dobbiamo, però, fare i conti con il compito dei pubblicitari, ossia quello di attirare l’occhio del teenager, persuaderlo con mezzi di cui loro sono certamente forniti, giocare con la loro necessità di rendersi e sentirsi importanti nel gruppo dei pari. Non è bello notare che un giovane, proveniente da famiglie non molto ricche, stringa tra le mani “l’oggetto del desiderio”, ossia un cellulare super moderno, tentando di nasconderlo abilmente. “Gioca” nascostamente, viene “beccato”, gli è sottratto lo smartphone e si preoccupa soltanto allora per le conseguenze, ossia, principalmente, che non si rompa. Da persona “a conoscenza dei fatti”, essendomi recentemente presa una laurea a scopo culturale, posso affermare che accade anche durante i corsi universitari. Un genitore avrà speso l’equivalente della metà del proprio stipendio allo scopo di permettere al proprio figlio di non essere attento alle lezioni? Non è a conoscenza del fatto che il figlio conduca con sé il cellulare a scuola? Poco credibile, visto che molti genitori chiamano i figli proprio durante le ore di lezione. Certo: le scuole fanno di tutto per “dribblare” il problema ma, nonostante le leggi e le attenzioni rivolte al caso, il problema esiste. Per non parlare del mondo di filmati girati in qualche modo nelle ore scolastiche, che non possono essere considerati un vanto per nessun istituto italiano o estero. Ma le pubblicità spingono all’acquisto con ogni mezzo lecito e, senza dubbio, chi vende i prodotti poco s’interessa delle conseguenze fisiche o psicologiche che potranno avere sull’acquirente. Spesso mi sorprendo a pensare quanta poca stima debbano avere di sé, della loro “arte”, del loro “personaggio” i tanti attori, più o meno famosi (ma anche giornalisti e persone note del mondo dello sport), che, pur di guadagnare, svendono la loro immagine, spesso la tradiscono ed ancora più spesso “imbrogliano” quanti li ritengono “sinceri”, pubblicizzando un qualsivoglia prodotto. Che sia un biscotto, un caffè, un gelato, poco importa. Sanno essere convincenti, in qualche caso interpretano costantemente “un personaggio” come si trattasse del “tenente Colombo”. Io al loro posto mi vergognerei. Ma non sono al loro posto e posso soltanto imporre il silenzio alla mia TV, quando passano le loro immagini sullo schermo, disturbandomi.

Bianca Fasano

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