Dieci Kg pro capite di abiti buttati via ogni anno
In Europa si stima un consumo medio pro capite di abbigliamento e accessori di abbigliamento pari a 10 kg annui e un'intercettazione di rifiuto di queste frazioni merceologiche pari a 7 kg procapite, ovvero al 70% del consumato.
Una percentuale importante che si trasforma da rifiuto a ricchezza generando una vera e propria economia dell'abito vecchio che va dalla beneficienza al commercio dell'usato. Anche se, con la crisi, la qualità del rifiuto tessile sta cambiando: le quantità di indumenti riutilizzabili diminuiscono progressivamente in favore delle fibre riciclabili, indice di minore rotazione degli abiti nuovi. Insomma, i vestiti vengono usati di più.
Lo rilevano il Consorzio nazionale dell'abbigliamento usato e il rapporto ''Italia del Riciclo 2011'', secondo i quali in Italia, a fronte di queste cifre, nel 2008 sono state raccolte in modo differenziato appena 80.000 tonnellate di tessile, cioè 1,3 kg pro capite. "I nostri calcoli mostrano che in Italia, dal flusso del rifiuto o potenziale rifiuto, vengono acquistati quasi 600 milioni di kg tra indumenti, scarpe, accessori e tessili per la casa", dichiara Edoardo Amerini, presidente del Consorzio nazionale abiti e accessori usati.
"Il 70% degli indumenti raccolti è idoneo al riutilizzo - aggiunge - e dopo le fasi di selezione e igienizzazione viene avviato ai mercatini internazionali. Le Caritas hanno tradizionalmente gestito questo fenomeno come occasione per fare donazioni a persone bisognose. Ma in Italia, su 60 milioni di consumatori non ci sono, per fortuna nostra, 60 milioni di indigenti. Rispetto alle esigenze di solidarietà del territorio esiste quindi un eccedenza di indumenti riutilizzabili che possono generare ricchezza".
Secondo il Rapporto nazionale sul Riutilizzo 2012 di Occhio del Riciclone, il numero dei commercianti ambulanti che si dedicano all'abbigliamento usato oscilla tra le 4.000 e le 6.000 unità (tra il 10% e il 16% degli ambulanti che si dedicano all'abbigliamento) e il numero dei negozi in conto terzi che trattano abbigliamento usato è pari a circa 4.000 unità.
Sui negozi che vendono vestiti usati senza la formula conto terzi, l'unico dato nazionale disponibile è quello fornito dalle elaborazioni della Camera di Commercio di Milano che dividono imprese dell'usato in quattro categorie di esercizio una delle quali è ''Commercio al dettaglio di indumenti e altri oggetti usati'', definizione nella quale sono comprese attività che non hanno a che vedere nell'abbigliamento.
Assumendo che i negozi di indumenti usati non conto terzi rientrano in questa categoria, è comunque possibile affermare che nel 2010 essi non erano più di 808, ovvero il numero globale degli esercizi classificati dalla Camera di Commercio di Milano nella categoria. Dalla ripartizione degli esercizi per macroarea geografica risulta una maggiore incidenza per abitante di questo tipo di esercizi nel Nord e nel Centro, e un'incidenza molto minore nel Sud.
Fonte: Adnkronos
Una percentuale importante che si trasforma da rifiuto a ricchezza generando una vera e propria economia dell'abito vecchio che va dalla beneficienza al commercio dell'usato. Anche se, con la crisi, la qualità del rifiuto tessile sta cambiando: le quantità di indumenti riutilizzabili diminuiscono progressivamente in favore delle fibre riciclabili, indice di minore rotazione degli abiti nuovi. Insomma, i vestiti vengono usati di più.
Lo rilevano il Consorzio nazionale dell'abbigliamento usato e il rapporto ''Italia del Riciclo 2011'', secondo i quali in Italia, a fronte di queste cifre, nel 2008 sono state raccolte in modo differenziato appena 80.000 tonnellate di tessile, cioè 1,3 kg pro capite. "I nostri calcoli mostrano che in Italia, dal flusso del rifiuto o potenziale rifiuto, vengono acquistati quasi 600 milioni di kg tra indumenti, scarpe, accessori e tessili per la casa", dichiara Edoardo Amerini, presidente del Consorzio nazionale abiti e accessori usati.
"Il 70% degli indumenti raccolti è idoneo al riutilizzo - aggiunge - e dopo le fasi di selezione e igienizzazione viene avviato ai mercatini internazionali. Le Caritas hanno tradizionalmente gestito questo fenomeno come occasione per fare donazioni a persone bisognose. Ma in Italia, su 60 milioni di consumatori non ci sono, per fortuna nostra, 60 milioni di indigenti. Rispetto alle esigenze di solidarietà del territorio esiste quindi un eccedenza di indumenti riutilizzabili che possono generare ricchezza".
Secondo il Rapporto nazionale sul Riutilizzo 2012 di Occhio del Riciclone, il numero dei commercianti ambulanti che si dedicano all'abbigliamento usato oscilla tra le 4.000 e le 6.000 unità (tra il 10% e il 16% degli ambulanti che si dedicano all'abbigliamento) e il numero dei negozi in conto terzi che trattano abbigliamento usato è pari a circa 4.000 unità.
Sui negozi che vendono vestiti usati senza la formula conto terzi, l'unico dato nazionale disponibile è quello fornito dalle elaborazioni della Camera di Commercio di Milano che dividono imprese dell'usato in quattro categorie di esercizio una delle quali è ''Commercio al dettaglio di indumenti e altri oggetti usati'', definizione nella quale sono comprese attività che non hanno a che vedere nell'abbigliamento.
Assumendo che i negozi di indumenti usati non conto terzi rientrano in questa categoria, è comunque possibile affermare che nel 2010 essi non erano più di 808, ovvero il numero globale degli esercizi classificati dalla Camera di Commercio di Milano nella categoria. Dalla ripartizione degli esercizi per macroarea geografica risulta una maggiore incidenza per abitante di questo tipo di esercizi nel Nord e nel Centro, e un'incidenza molto minore nel Sud.
Fonte: Adnkronos
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