lunedì 22 febbraio 2016

Inchieste. Caso Moro. Maria Fida si confida: spaccature in famiglia e gli ostacoli del “Movimento Febbraio 74"

di Nico Baratta

La vicenda Moro in questi giorni si è arricchita di scenari a noi non conosciuti. Tutti sappiamo della vicenda, di quell’orribile strage, del rapimento, della detenzione dell’ex Presidente democristiano, delle azioni intraprese dagli inquirenti e dagli amici di Moro appartenenti al mondo politico e cattolico. Sappiamo anche dei tentennamenti di alcuni statisti. Ma non conosciamo gli aspetti familiari più intimi che in quei tremendi 55 giorni vissero i suoi cari. 
La Commissione d’inchiesta parlamentare che sta indagando sul caso, riaprendo faldoni di interrogazioni, srotolando e riascoltando chilometri di intercettazioni  e confessioni audio e video, pian piano sta ricostruendo quel puzzle che doveva essere terminato anni addietro. Sta interrogando nuovamente chi a quel tempo ha vissuto e partecipato all’atroce vicenda, anche chi è stato lambito. 

Nei giorni scorsi la suddetta Commissione, presieduta dall’On. Giuseppe Fioroni e fortemente voluta dall’On. Gero Grassi, ha chiamato in audizione i familiari più stretti di Aldo Moro. In particolare è stata ascoltata la figlia Maria Fida (nella foto - fonte Panorama), primogenita di Aldo Moro e ex Senatrice della Repubblica Italiana, che in due ore e mezzo ha raccontato, nei dettagli, particolari inediti e sensibili dei rapporti familiari. Tuttavia, vista la sensibilità del tema che abbraccia sentimenti e scelte di familiari, e perciò di privacy, gran parte dell’audizione è stata secretata. Una scelta infelice ma che tutela basilari aspetti che coinvolgono moglie e figli di Moro. Inoltre, nell’audizione, la sig. ra Maria Fida si è soffermata sulle “intrusioni” subite in casa durante i 55 giorni del sequestro di suo padre. A noi son state fornite alcune indiscrezioni su ciò che avvenne in casa Moro durante quei terribili 55 giorni. Tra le più rilevanti che la sig.ra Maria Fida ha voluto che fossero pubblicate, vi sono le spaccature interne tra lei e il fratello e la madre. Motivo delle crepe fu la presenza di rappresentanti del “Movimento Febbraio 74” in casa Moro, un ingombro che, quanto detto dalla sig.ra Maria Fida, avrebbe inciso sulla «libertà di movimento e azione» della signora Moro, la moglie appunto, e della famiglia, tra cui il figlio Giovanni, membro di quel “Movimento”. Per chi non è a conoscenza il “Movimento Febbraio 74” nacque dal convegno ecclesiale svolto nel febbraio del 1974 e diretto dall’Avvocato Giancarlo Quaranta. Dietro quel movimento vi erano molte persone note, specie del mondo ecclesiale, come per esempio del Cardinale Poletti che ebbe un ruolo importante, ma non ancora ben noto, durante la detenzione di Moro. Di lui si sarebbe parlato durante l’audizione ma la secretazione ci impedisce di pubblicare informazioni. Un aspetto importante della dichiarazione della sig. Maria Fida è aver confessato che il “Movimento Febbraio 74” aveva avuto il potere di dominare la famiglia Moro con scelte devastatrici per le sorti del padre, al punto di impedire azioni positive per la conclusione del sequestro “suggerite” dallo stesso Presidente Moro. Suggerimenti, a volte contenuti tra le righe,  attraverso le lettere che lui dal carcere brigatista inviava a sua moglie. Altro significativo indizio sulle oscure trame del sequestro è la volontà dei suoi fratelli di allontanamento della sig. Maria Fida ai funerali degli uomini della scorta del Presidente. Una scelta voluta per preservare l’incolumità del nipote Luca, figlio di Maria Fida, più volte citate nelle famose lettere di Moro scritte dal carcere brigatista. Ma lei ci andò e quando fu riconosciuta prima fu bloccata dai suoi stessi familiari e poi un agente la fece partecipare alla cerimonia. Da li i contrasti aumentarono tant’è che perfino sua madre, Eleonora Chiavarelli in Moro, la supplicò in ginocchio e piangendo la pregò di andar via. 
«Certo -ha spiegato sommariamente Maria Fida-  loro avevano la pretesa di gestire l'atteggiamento della famiglia». Con ciò si comprende appieno che la matrice dell’astio e poi delle decisioni in contrasto con il naturale atteggiamento salvifico per Moro erano loro, non Aldo Moro dalla prigione, neanche sua moglie Eleonora dall'esterno, e tanto meno la figlia primogenita Maria Fida che era stata cacciata di casa, bensì quelli del “Movimento”. «In due lettere inviate a mamma –prosegue l’ex senatrice- le diceva di non ascoltare i consigli di nessuno, tanto meno di estranei, e di andare in televisione per invocare una trattativa. Non si fidava di nessuno. E voleva che fosse lui dalla prigione, e noi da casa, a gestire la situazione. Mia madre –continua con precisione la primogenita Moro- non andò mai in televisione durante il sequestro, nonostante papà le chiedesse di rivolgersi all’opinione pubblica». 

Tra le rivelazioni della sig.ra Maria Fida che son state rese pubbliche ci sono le inquietanti azioni intraprese durante le elezioni del 1976 dal “Movimento Febbraio 74”. In sostanza l’ex senatrice avrebbe detto che il “Movimento” avrebbe condotto una compagna elettorale contro lo stesso partito che diede i natali al “Movimento”, ovvero la Democrazia Cristiana, accusandolo con un manifesto di essere tutti ladri. Uno dei firmatari di quel manifesto fu il fratello Giovanni, figlio del Presidente Moro. Ciò complicò nettamente i rapporti familiari in quanto chi doveva prodigarsi per liberare il padre, in realtà era da ostacolo. Un barriera presente continuamente nell’abitazione della famiglia Moro costituita da persone che giravano in casa con il precipuo scopo di dividere. «Di questo io sono sempre stata convinta –afferma Maria Fida-. Se fossimo rimasti uniti e avessimo seguito i consigli di mio padre, avremmo fatto tutto il possibile per salvarlo rivolgendoci direttamente all'opinione pubblica. Papà ci diceva che sarebbero bastate le firme di 100 parlamentari per costringere lo Stato a trattare. Ma invece eravamo divisi, isolati, troppo deboli. Mio padre voleva che ci mobilitassimo, che facessimo qualcosa per tirarlo fuori da lì. E probabilmente io sarei riuscita a convincere anche la mamma. Ma forse era quello che qualcuno temeva. Un gruppo esterno aveva "occupato" casa nostra sin dal giorno del sequestro –conclude la primogenita di Aldo Moro».

La Commissione d’inchiesta parlamentare sta continuando con il suo instancabile lavoro. E con essa quello dell’On. Gero Grassi che, su volontà della sig.ra Maria Fida e i familiari di suo padre, oltre a presiedere tutte le audizioni e ricercare e ordinare con dovizia certosina le carte, i nastri, le foto, gli articoli del caso, sta pubblicando sul suo sito web tutto il lavoro svolto dalla Commissione e le carte suddette. Il tutto è visitabile al link www.gerograssi.it alla voce “Aldo Moro”. Contestualmente Maria Fida Moro dopo la presente audizione ha depositato in Commissione altro materiale, una serie di carte che verranno analizzate minuziosamente.

Tuttavia una certezza c’è, purtroppo crudamente nota, che in quei 55 tremendi giorni, dal 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Aldo Moro e del massacro della sua scorta, al 9 maggio 1978, quando fu ritrovato morto il Presidente Moro nella famosa o famigerata Renault 4 rossa, tutto rimase incredibilmente immobile sul piano strategico degli aiuti che dovevano giungere dall’interno del partito che presiedeva, dalle persone che lo avevano politicamente sostenuto o fatto solo in apparenza. Le uniche azioni mosse a favore di Moro furono gli appelli del Papa, di esponenti politici al di fuori della DC e quelle dovute dagli inquirenti, spesso depistati con proposito da “entità” governative.

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