Shoah, le relazioni sulla giornata dedicata a Etty Hillesum svolte al Liceo scientifico Marconi di Foggia
Il 15 marzo scorso presso il Liceo scientifico Marconi di Foggia si parlò di olocausto. L’incontro fu organizzato in collaborazione con il Circolo Culturale La Merlettaia, nella persona della fondatrice, la professoressa Antonietta Lerario. Nell’occasione ai giovani studenti fu presentata e raccontata la figura umana di Etty Hillesum, ebrea olandese testimone dell’Olocausto, e morta ad Auschwitz il 30 Novembre del 1943. Etty Hillesum, con il suo Diario, e attraverso la Lettere, consegnò al mondo la testimonianza storica e la memoria dell’orrore che si consumò, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, nei campi di concentramento. Nel corso dell’incontro son state lette anche due relazioni: una della professoressa Antonietta Pistone, l’altra del Prof. Michele Quintana.
Ve le proponiamo.
Stralcio della relazione della Prof.ssa Antonietta Pistone
Il tema che andiamo a trattare oggi è molto difficile, ed è doloroso e triste, per le nere pagine di storia che ha fatto scrivere agli studiosi, e di cui i manuali ad uso nei licei sono ricchi di notizie e di informazioni.
Ciò che non è rintracciabile, nei manuali, è la diretta testimonianza di chi ha sofferto le atrocità della soluzione finale, e dello sterminio.
Etty Hillesum, come Anna Frank, ci offrono la possibilità di accedere ai cassetti della memoria storica, per custodirla, prima che sia troppo tardi.
Gli ormai pochi testimoni viventi dell’olocausto si chiedono, con trepidazione, cosa potrà accadere quando non ci saranno più le testimonianze vive dei sopravvissuti, dal momento che sono già trascorsi più di settant’anni di storia dai fatti del ’42, ’43.
Proprio perché chi non conosce la storia è destinato fatalmente a riviverla, è necessario accedere alla memoria di quanti ci hanno lasciato una testimonianza viva e feconda del passato terribile dei campi di sterminio nazisti.
Etty era una ragazza, come tutti voi. Aveva solo 27 anni. Aveva una vita davanti. Era laureata in giurisprudenza e aveva fatto studi di lingua slava e russa. Faceva ripetizioni per vivere. Poi ebbe la possibilità di andare ad assistere un anziano signore, di nome Han, di cui, potremmo dire oggi, iniziò a fare la badante. Un lavoro che si trasformò, in breve tempo, in una vera e propria relazione amorosa. Etty ne parla nel suo Diario, di circa mille pagine, in cui descrive, narrandola, la sua vita, che non doveva essere molto diversa da quella di tante altre sue coetanee, all’epoca in cui si svolgevano i fatti, tra gli anni del ‘41, ’42 e ’43.
Etty, nel Diario, si innamora di Julius Spier, uno psicochirologo, studioso di Jung, ed esperto nella lettura della mano, dal quale si era recata per curiosità, per approfondire alcuni temi legati all’instabilità psichica sua e dei suoi due fratelli maschi. Instabilità probabilmente dovuta ad un difficile rapporto con i genitori. Spier era così diventato un po’ il suo maestro, ed Etty si era appassionata alla psicochirologia, desiderando anche intraprendere la stessa carriera di Spier, in un immediato futuro.
La Hillesum, però, durante i rastrellamenti tedeschi, venne deportata, con la sua famiglia, a Westerbork. Le Lettere parlano proprio del suo soggiorno forzato in quello che doveva essere solo uno dei tanti campi di smistamento. Da lì, infatti, dopo circa cinque mesi di permanenza, Etty fu trasferita ad Auschwitz, dove sarebbe morta il 30 novembre del 1943, quando aveva ancora meno di trent’anni.
Nelle Lettere Etty non racconta soltanto la vita nel campo di Westerbork, ma esprime soprattutto i suoi stati d'animo, e le sue preoccupazioni e paure, relativamente alla deportazione dei suoi genitori e di suo fratello Mischa, musicista, il più psichicamente fragile dei tre Hillesum.
Nelle righe della missiva, indirizzata all'amica Maria Tuinzing, Etty riferisce, in particolar modo, delle sue ansie su un possibile trasferimento in Polonia, ad Auschwitz, dove, in effetti, saranno poi deportati lei, suo fratello Mischa, e i suoi genitori, e lì moriranno, qualche tempo dopo, nel 1943.
Relazione del Prof. Michele Quintana
Se c’è qualcosa che è odiato, oggi, questo è il SILENZIO. Il silenzio sembra perdita, perdita di tempo, perdita di senso. Per questo va riempito sempre con qualcosa: perchè sembra negativo, male.
Rimanere soli con se stessi viene visto come qualcosa di brutto, di limitante. Nel silenzio sembra che non ci sia niente e nessuno … che manchi qualcosa.
Etty Hillesum ha vissuto solo 29 anni. Certo, non sapeva che sarebbe morta così presto, ma in certi momenti l’ha messo in conto, per quanto sia possibile a un essere vivo anticipare l’esperienza del morire. Etty non aveva paura del silenzio interiore e non aveva paura di stare sola con se stessa, perchè nel silenzio trovava la fonte dove scoprire se stessa in modo vero.
In questo senso risulta difficilmente comprensibile, a mio avviso, agli uomini d’oggi. Così come alcune scelte della sua vita.
«In amore il silenzio è molto più eloquente delle parole» diceva Pascal. In tutte le situazioni in cui si confina col mistero della vita, come nel linguaggio d’amore, il silenzio esprime più di mille parole.
Qohelet (1,8) dice: “tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo”. Perchè quando si rasenta il mistero solo il silenzio parla.
Nel Diario di Etty, su Dio non c'è un vero e proprio discorso. Dio è silenzio, è resto. Anzi Dio è IL silenzio, è IL resto. È ciò che ci permette di parlare delle cose. Parlare delle cose restituisce le cose al loro essere e ciò risponde al nostro profondo amore per esse. Ma se si gode e si consuma la vita fino in fondo senza che si preservi una parte di noi dal loro godimento, non è possibile l'esperienza del silenzio. L'amore per le cose si cristallizza e si sperde nel godi¬mento. Scrive: "Io vivo, godo e con¬sumo la vita al punto che non ne rimane più niente. Forse è neces¬sario che un qualche resto ne rimanga, perché si produca la ten¬sione che induce a creare, induce a scrivere" (Diario, 204).
Sin dall'inizio del suo Diario si rivolge a Dio nella forma di un io che si rivolge ad un tu. È la forma della preghiera. Poi inizia a riconoscere "Dio" nel silenzio che sente dentro di sé. Scopre di poter riposare ovunque in quella parte di sé che è silenziosa. È qui il salto simbolico. “La definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo 'me stessa', la parte più profonda e ricca di me in cui io riposo, io la chiamo Dio” (Diario, 201). Silenzio era prima e silenzio è dopo, ma non è indifferente chiamarlo "Dio", dato che i nomi hanno una forza simbolica propria.
Ma qual è questo Dio che Etty riconosce? Qual è la religione con cui si riconcilia e in cui ritrova se stessa e la pace interiore, visto che ha un percorso religioso estraneo a chiese e dottrine teo¬lo-giche?
Etty non conosce bene il Dio degli ebrei, è digiuna di tradizione ebraica, tanto che quando parla della sua famiglia non accenna mai a riti religiosi e nemmeno alla frequentazione della sinagoga.
Ma non si può neppure dire che quello della Hille¬sum sia il Dio dei cristiani, anche se il suo avvi-cinamento alla fede è collegato con la lettura del Nuovo Te¬stamento (in particolare il Vangelo secondo Matteo), con escursioni in S. Paolo, S. Agostino e S. Francesco. In Etty non c'è alcun interesse verso la tradizione cristiana, verso la Chiesa. Non si coglie nessuna - neppure lontana - intenzione di arrivo al cristianesimo istituzionale.
Sono comunque i cristiani a sentir¬la più vicina, a studiarla e a riconoscerne l'anima “natu¬ralmente mistica”. Minor interesse, invece, si riscontra da parte della cul¬tura ebraica. L'attenzione di Etty per gli scritti cristiani, in un momento in cui la tra¬dizione ebraica rischiava di essere cancellata, evidentemente non è stata ben accolta.
Diciamo, in definitiva, che alla giova¬ne ebrea Dio ha concesso un dono straordinario, quello del contatto senza mediazione alcuna. Di questo “approdo” non vi è nessun drammatico racconto, come nelle Confessioni di sant'Agostino, un testo che lei amava, o negli Atti degli apostoli per Paolo di Tarso.
In Etty come in altre – ad esempio Simone Weil — questa espe¬rienza del silenzio interiore cresce lentamente e di pari passo con l'amore per il mondo. Scrivendo del mondo lei sente di poter ridare senso alle cose travolte e velate di insensa¬tezza, di ritrovarne l’armonia. La pro¬va che la sua tra-sformazione è vera, che non si tratta solo di un'adesione intellettuale all'idea di Dio, sta nel fatto che Etty riesca a perdonare l'aggressore, a dare un senso alla sofferenza per sé e per chi le sta vicino. Capace persino di riconoscersi felice in un campo di deportazione. Seppe distribuire agli altri l'amore che sentiva crescere dentro di sé. E tutto questo si spiega bene attraverso il suo incontro mistico con Dio.
Un grande mistico del Cinquecento come S. Giovanni della Croce, scrisse: «Il Padre pronunciò una Parola, che fu suo Figlio, e sempre la ripete in un eterno silenzio; perciò in silen¬zio essa deve essere ascoltata dall'anima».
La vita di Esther (Etty) è una sfi¬da al dubbio radicale e allo scetticismo dei nostri tempi. "Deve esserci qualcuno - scrive - che passi attraverso tutto ciò e testimoni che Dio è vivo, persino in tempi come questi. E perché non do¬vrei essere io quel testimone?".
La Hillesum, se meglio conosciuta, può essere una figura estremamente attraente e che un mondo secolarizzato può accettare, di esperienza mistica e di fede in Dio, perchè tagliato su un’esperienza in¬dividuale ed esterno ad ogni appartenenza a una speci¬fica tradizione religiosa.
TESTI
o La velocità di procedere è ignota, mentre è ben chiaro il fine: l'esperien¬za stessa di Dio.
o Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E' l'unica soluzione possibile. È quel pezzettino d'eternità che ci portiamo dentro. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra.
o Le mie battaglie le combatto contro di me, contro i miei propri demoni: ma combattere in mezzo a migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho paura, non so, mi sento così tranquilla. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. Mi sembra che si esageri nel temere per il nostro corpo. Lo spirito viene dimenticato, s'accartoccia e avvizzisce in qualche angolino. Viviamo in un modo sbagliato, senza dignità. Io non odio nessuno, non sono amareggiata: una volta che l'amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito.
o Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so: continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia.
o Un'altra cosa ancora, dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi: e perciò sono più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime.
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