lunedì 23 marzo 2015

Foggia, Festività dell'Iconavetere. Il messaggio eucaristico di Mons. Pelvi

Oggi, a Foggia, si è festeggiata la Santa solennità della Madonna dei Sette Veli, santa patrona della città, posticipata dal 22 poiché ricorrente di domenica quaresimale. L'Arcivescovo Metropolita della diocesi di Foggia-Bovino, S.E. Mons. Vincenzo Pelvi, durante la messa celebrata nella Cattedrale del capoluogo dauno, cui hanno partecipato istituzioni, politici, militari, e moltissimi fedeli affollati intorno alla loro protettrice, ha rivolto un messaggio alla comunità. La Santa Messa è stata ufficializzata con i canti del Coro della Cappella Musicale Iconavetere di Foggia.

Ecco il messaggio di Mons. Vincenzo Pelvi. 

“Cari foggiani, amato popolo di Dio, questo incontro è per me – per la missione di Vescovo – preziosa occasione perché possiate avvertire stima cordiale, affetto fraterno e gratitudine sincera. La protezione materna di Maria accompagna la storia della nostra Città. Il suo sguardo misericordioso si posa sulle nostre umili vite, in questo tempo complesso e difficile. Ella ci invita a non smarrirci; non possiamo diventare improvvisamente irriconoscenti verso tutto quanto ci ha preceduto: l’onore e la laboriosità della nostra terra, il senso della famiglia, il rispetto per chi soffre, l’attenzione all’anziano, l’accoglienza come stile di vita.
Foggia, in ogni circostanza anche dolorosa, ha sempre ritrovato e ritrova la forza per vincere le paure, coltivare la speranza e continuare a operare secondo ideali di giustizia e di bene comune. È a partire dalla forza interiore che anima questa Città che vorrei esprimere qualche riflessione sulla dimensione del dono.
L’uomo, proprio perché fatto a imma­gine e somiglianza di Dio, è chiamato a imitarlo, a riprodurre nella vita la Sua stessa logica, ossia la logica del dono.
Questa prospettiva è destinata ad esercitare uno straordinario fascino spirituale: mentre ci rivela a quali altezze giungono i nostri gesti umani di donazione, anche i più piccoli e umili, stimola la nostra coscienza ad avere vivo, forte, urgente il senso della responsabilità. La nostra esistenza personale è coerente con il nostro essere quando all’insegna della concretezza dei gesti quotidiani trova la sua norma nel dono di se.
Fissando con voi stasera la Sacra Icona accogliamo il sorriso e l’abbraccio tenero e forte di una madre speciale che sussurra al nostro cuore la parola del salmista: “Beato l’uomo che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia, dona largamente ai poveri” (Sl 112). Con semplicità, siamo richiamati a una triplice e precisa esigenza dell’amore che dona, esigenza etica che la situazione della nostra Città rende particolarmente attuale e urgente.
Dare in prestito: quando cresce la povertà delle famiglie - e cresce in senso non solo quantitativo ma anche qualitativo - il prestito si può presentare come un’inevitabile necessità per riuscire a far fronte ad alcuni impegni gravi, talvolta legati alla stessa sopravvivenza. E’ proprio in un simile contesto che spesso si sviluppa l’iniquo fenomeno dell’usura. Solo se, insieme con le necessarie disposizioni legislative, si incontrano persone disposte al prestito in termini di giustizia e di correttezza, e ancor più secondo la logica evangelica della generosità che non specula sugli interessi e non chiede nulla in cambio, si possono ridestare, nei molti che rischiano di perderle, la speranza e la voglia di continuare a vivere. Dare in prestito è, dunque, oggi un’importante e significativa espressione di carità sociale da vivere verso le famiglie della nostra Città.
A ciascuno, poi, la Madonna dei Sette Veli dice di amministrare i benicon giustizia. Sono parole importanti, queste, perché affermano con chia­rezza che dei propri beni - quelli legittimamente posseduti - non ci è lecito un uso qualsiasi, arbitrario: occorre un uso che sia veramente “giusto”. Si tratta, cioè, di gestire e di amministrare il proprio patrimo­nio, grande o piccolo che sia, nel rispetto delle leggi, con onestà e tra­sparenza, pagando le tasse dovute. Si tratta, insieme e soprattutto, di usare dei propri beni rispettando semplicemente i diritti di tutti e di ciascuno.
Ed è soprattutto ai deboli che va il nostro pensiero. È inutile illu­dersi: la storia insegna che quasi mai è stato il pane ad andare verso i poveri, ma i poveri ad andare dove c’è il pane.
Parrebbe a volte che la città abbia paura dei più deboli e che si tenda a ricercare la tranquillità mediante la tutela della prepotenza. La paura urbana che a volte respiriamo si può vincere con un soprassalto di partecipazio­ne cordiale, non di chiusura e di egoismo; con un ritorno ad occupare atti­vamente il proprio territorio e ad occuparsi di esso. Chi si isola è destinato a fuggire all’infinito, perchè troverà sempre un qualche ostacolo che gli fa eludere il problema della relazione interpersonale.
Infine, l’Icona Vetere semina negli animi l’esigenza di donare largamente ai poveri. È un’esigenza etica ineliminabile. Ci sono e ci saranno sempre situazioni di perso­ne e di famiglie che, per molteplici motivi, non possono e non potranno essere raggiunte dalle Istituzioni e dai servizi sociali, anche le più efficienti. Solo l’amore, la carità cristiana può diventare per queste situazioni la risposta decisiva. Ringrazio, a riguardo, gli Enti locali che riconoscono e si affidano alla concretezza delle parrocchie per svariate iniziative a vantaggio dei poveri e sofferenti.
Foggia ha bisogno di un “supplemento di solidarietà”, una sorta di “ripensamento” più aderente all’oggi e al mutato contesto sociale e culturale. C’è urgente bisogno dunque, da un lato, della soli­darietà come virtù civile e, dall’altro, di scelte e progetti concreti che consentano di avviare una cultura di dono che vada oltre l’individualismo, uno dei segni più inquietanti della mentalità odierna. Non è, però, solo segno di gretto egoismo. L’individualismo dice an­che insicurezza, timore degli altri, paura di quanto ci circonda. Ogni persona, soprattutto la più debole e povera, va sostenuta, accolta, aiutata a non temere l’incontro con l’altro. L’uomo, per se stesso, è un “essere in relazione” un essere “con l’altro”. A partire da qui si snoda il viaggio di ognuno. E’ un viaggio dalla “prossimità” alla “apertura universale”, dalla singola persona, alle comunità e all’intera famiglia umana, fino ad “abbracciare il mondo”. È un viaggio ricco di fascino e di scoperte interessanti, che implica capacità di giocarsi la vita dentro relazioni di una reale fraternità universale.

Cari amici, un egoi­smo diffuso, immorale e anche camuffato di pietà impedisce di aprirsi agli altri. Le stesse opere di carità sono affidate a poche mani; scarseggia la solidarietà diffusa. Un silenzio grave incombe sopra chi è destinato per vocazione o generosità a occuparsi dei più bisognosi.
Chi è in frontiera è rimasto solo e abbandonato in una cultura che, sia nell’abbondanza sia nella precarietà, non vuol sentire nemmeno parlare di disagio e di povertà. I richiami all’amore dei fratelli diventano sempre più rari. È grave la mancanza di coscienza della povertà. Non c’è allarmismo, ma rassegnazione. Ciascuno, guardando prima di tutto alla propria sopravvivenza, impaurito nell’abbandonare le sue materiali sicurezze, non riesce neppure a commuoversi dinanzi ai bisogni essenziali di tante famiglie.
Coraggio, non possiamo chiuderci nello sconforto o in una sistematica delusione. Occorre risvegliare un impegno concreto ma anche un vero desiderio di orientamento e di spiritualità, attivando ogni forma positiva di vita, fisica e spirituale, per limitare i danni della sofferenza. Non possiamo arrotolarci nella tristezza per capire le origini e le conseguenze delle cose negative; sforziamoci, invece, di costruire risposte di serenità e fiducia. Lo desidera Papa Francesco che, indicendo il Giubileo della Misericordia, non si stanca di ripetere: “Soffrite per e con le persone. E questo non è facile! Soffrite come un padre e una madre soffrono per i figli … non abbiate vergogna della carne dei vostri fratelli. Alla fine sarete giudicati su come avrete saputo avvicinarvi a ogni persona”.
Madonna dei Sette Veli, fa scendere sulla nostra Città una benedizione di speranza e di consolazione, una benedizione sugli anni che passano, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sulla lotta contro l’egoismo.
Aiutaci a non aver paura, a creare occasioni di conoscenza, di accoglienza e dialogo. Donaci la forza di ospitare la parola dell’altro, di assumerci tutte le responsabilità, di esporci per la verità, anche quando preferiremmo non farlo.
Aiutaci a non tradire mai la speranza in una città migliore. Amen". 
Ubicazione: Piazza Francesco de Sanctis, 71121 Foggia FG, Italia

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