Pedofilia, la CEI afferma che «Per il vescovo non esiste alcun obbligo di denuncia»
di Nico Baratta
“Non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale", un vescovo non ha l'obbligo giuridico, ma solo il dovere morale "di denunciare all'autorità giudiziaria" notizie riguardanti casi di abuso sessuale nei confronti di minore da parte dei sacerdoti. A sostenerlo è la Conferenza Episcopale Italiana nelle sue linee guida per i casi di pedofilia. I vescovi, però, devono avere "speciale cura" nel valutare i candidati al sacerdozio.
Come detto, a sostenerlo è la CEI per voce del suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, che ha posto in evidenza che i vescovi debbono avere “una speciale cura” nel discernimento vocazionale dei candidati al sacerdozio o alla vita consacrata. Le linee guida della CEI sono chiare, fornendo ai prelati disposizioni precise su come comportarsi e agire. Difatti le linee guida affermano che non esiste solo la denuncia all'autorità civile. Cerca innanzitutto la strada della prevenzione: "cogliere ogni segno" nel percorso verso il sacerdozio, emanando anche direttive volte a coinvolgere esperti e tecniche scientifiche a questo scopo, nelle equipe dei seminari". Collabora con lo stato italiano, in conformità con le leggi vigenti denunciando molti casi e indagando anche per suo conto.
Ora, non essendo un avvocato, non so rispondere se c’è obbligo di denuncia per tal crimine; credo di no, da una lettura del codice penale. Certamente c’è in caso di flagranza di reato, previa complicità, presumo.
Tanto per non confutare la dottrina giurisprudenziale, la "Denuncia e querela", si legge -cito testualmente- dice che: "La denuncia può essere fatta da qualsiasi cittadino, che può anche non essere parte offesa dal reato." Da ciò si deduce che il prelato in caso di palese reato, nel caso di pedofilia, e dopo le dovute indagini, dovrebbe esporre denuncia, più che altro per moralità oltre che per giustizia. Resta inteso che il vescovo non si deve sostituire al magistrato, che rimane l’unico soggetto riconosciuto per formulare un’accusa formale. Ma la denuncia va fatta, secondo il mio parere. Omettere un reato di così grande efferatezza è come aver contribuito a farlo.
Il problema che si pone, come sempre, è morale. E come sempre, quando di mezzo c’è la chiesa, diventa doppio poiché ci troviamo dinanzi a persone che della loro vita ne hanno fatta una missione di carità e servizio verso il popolo, i fedeli. Tuttavia si tratta sempre di persone che rispondono alla legge, seppur con vesti talari.
I giornali hanno riportato la notizia: chi calcando la mano, chi con velate dichiarazioni.
Problema morale, dunque, che agli occhi del popolo diventa “omertà”. Ma secondo la CEI non è così poiché essa riconosce al vescovo un suo spazio di discrezionalità, riconosciuto dalla legge italiana, da quanto ho appreso leggendo i testi delle loro linee guida. Difatti, secondo la CEI si combatte la pedofilia non solo con le denunce. Ciò è riconducibile alla sempre e continua teoria ecclesiale che “certa gente è clinicamente malata”. Praticamente come se io avessi in casa un malato, non lo denuncio, ma lo curo.
Ci risiamo, purtroppo. Quando s’affrontano problemi legali strettamente connessi a quelli morali e etici di persone a loro non in “linea con la dottrina cristiana” si ricorre a cavilli, spesso chiamando in causa solo i fedeli, cercando così di distrarre il resto del popolo laico (si veda anche il caso degli omosessuali, dei divorziati, etc...).
Tanto per la cronaca, che nel caso fa bene più allo spirito che al corpo, sono 135 i casi di sacerdoti pedofili o presunti tali segnalati tra il 2000 e il 2011 alla Congregazione per la Dottrina della Fede, in particolare al dicastero responsabile con riferimento alla "delicta graviora" - le norme sui delitti più gravi-, che purtroppo ha tempi di prescrizione più che doppi rispetto alla Giustizia italiana. Ricordo, e concludo, che per questo reato, un orrendo crimine, solo 77 sacerdoti sono stati giudicati dai tribunali penali della Repubblica Italiana.
Ancora una volta la chiesa ricorre alla parabola della pecorella smarrita.
“Non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale", un vescovo non ha l'obbligo giuridico, ma solo il dovere morale "di denunciare all'autorità giudiziaria" notizie riguardanti casi di abuso sessuale nei confronti di minore da parte dei sacerdoti. A sostenerlo è la Conferenza Episcopale Italiana nelle sue linee guida per i casi di pedofilia. I vescovi, però, devono avere "speciale cura" nel valutare i candidati al sacerdozio.
Come detto, a sostenerlo è la CEI per voce del suo presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, che ha posto in evidenza che i vescovi debbono avere “una speciale cura” nel discernimento vocazionale dei candidati al sacerdozio o alla vita consacrata. Le linee guida della CEI sono chiare, fornendo ai prelati disposizioni precise su come comportarsi e agire. Difatti le linee guida affermano che non esiste solo la denuncia all'autorità civile. Cerca innanzitutto la strada della prevenzione: "cogliere ogni segno" nel percorso verso il sacerdozio, emanando anche direttive volte a coinvolgere esperti e tecniche scientifiche a questo scopo, nelle equipe dei seminari". Collabora con lo stato italiano, in conformità con le leggi vigenti denunciando molti casi e indagando anche per suo conto.
Ora, non essendo un avvocato, non so rispondere se c’è obbligo di denuncia per tal crimine; credo di no, da una lettura del codice penale. Certamente c’è in caso di flagranza di reato, previa complicità, presumo.
Tanto per non confutare la dottrina giurisprudenziale, la "Denuncia e querela", si legge -cito testualmente- dice che: "La denuncia può essere fatta da qualsiasi cittadino, che può anche non essere parte offesa dal reato." Da ciò si deduce che il prelato in caso di palese reato, nel caso di pedofilia, e dopo le dovute indagini, dovrebbe esporre denuncia, più che altro per moralità oltre che per giustizia. Resta inteso che il vescovo non si deve sostituire al magistrato, che rimane l’unico soggetto riconosciuto per formulare un’accusa formale. Ma la denuncia va fatta, secondo il mio parere. Omettere un reato di così grande efferatezza è come aver contribuito a farlo.
Il problema che si pone, come sempre, è morale. E come sempre, quando di mezzo c’è la chiesa, diventa doppio poiché ci troviamo dinanzi a persone che della loro vita ne hanno fatta una missione di carità e servizio verso il popolo, i fedeli. Tuttavia si tratta sempre di persone che rispondono alla legge, seppur con vesti talari.
I giornali hanno riportato la notizia: chi calcando la mano, chi con velate dichiarazioni.
Problema morale, dunque, che agli occhi del popolo diventa “omertà”. Ma secondo la CEI non è così poiché essa riconosce al vescovo un suo spazio di discrezionalità, riconosciuto dalla legge italiana, da quanto ho appreso leggendo i testi delle loro linee guida. Difatti, secondo la CEI si combatte la pedofilia non solo con le denunce. Ciò è riconducibile alla sempre e continua teoria ecclesiale che “certa gente è clinicamente malata”. Praticamente come se io avessi in casa un malato, non lo denuncio, ma lo curo.
Ci risiamo, purtroppo. Quando s’affrontano problemi legali strettamente connessi a quelli morali e etici di persone a loro non in “linea con la dottrina cristiana” si ricorre a cavilli, spesso chiamando in causa solo i fedeli, cercando così di distrarre il resto del popolo laico (si veda anche il caso degli omosessuali, dei divorziati, etc...).
Tanto per la cronaca, che nel caso fa bene più allo spirito che al corpo, sono 135 i casi di sacerdoti pedofili o presunti tali segnalati tra il 2000 e il 2011 alla Congregazione per la Dottrina della Fede, in particolare al dicastero responsabile con riferimento alla "delicta graviora" - le norme sui delitti più gravi-, che purtroppo ha tempi di prescrizione più che doppi rispetto alla Giustizia italiana. Ricordo, e concludo, che per questo reato, un orrendo crimine, solo 77 sacerdoti sono stati giudicati dai tribunali penali della Repubblica Italiana.
Ancora una volta la chiesa ricorre alla parabola della pecorella smarrita.
Ad Maiora!
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