lunedì 2 gennaio 2017

Lanfranco Schirone, l'uomo e l'artista. Intervista al talento foggiano che espone le sue opere fino al 6 gennaio presso la collettiva di Corso Cairoli

Shopping alla piscina di Aleppo di Lanfranco Schirone
Non sono solo le nuove collezioni ad occhieggiare dalle vetrine di corso Cairoli: fino al 6 gennaio 2017 infatti, al civico 9, sarà possibile visitare anche una collettiva d’arte, in cui espongono talenti pugliesi: tra le opere anche quelle dell’artista foggiano Lanfranco Schirone
Veterinario per professione ma artista per passione, Lanfranco si definisce un “grafomane” perché sin dal momento in cui ha avuto capacità di disegnare non ha più lasciato la penna: si è dilettato per anni con schizzi e raffigurazioni persino durante le lezioni scolastiche e universitarie. La passione per il disegno si evolve in passione per la pittura: si cimenta con i primi quadri, duri, di ispirazione surrealista, attraverso cui ha oggettivizzato i moti interiori tipici dell’adolescenza. Tuttavia, gli studi in medicina veterinaria e la consueta evoluzione della vita, gli fanno mettere da parte questa grande passione che, nonostante tutto ha cercato di non spegnere, concedendosi quando possibile anche qualche corso in parallelo agli studi accademici. Scopre però che la sua passione è ostacolata anche da problemi logistici: chi dipinge ha bisogno di spazio, di un luogo fisico in cui potersi rintanare per mettere sulla tela l’ispirazione del momento. E’ la morte del padre – figura di riferimento per la vita dell’arista, nonché mentore -  che come un coltello squarcia la tela della vita che aveva condotto fino a quel momento. La rivelazione è come uno schizzo vermiglio sul foglio bianco: Lanfranco capisce che non può perdere altro tempo prezioso senza dedicarsi alla sua più grande passione che, nascosta in un angolo del suo essere, non ha mai smesso di palpitare. Oggi, con l’esposizione delle sue ultime opere presso la collettiva foggiana, si racconta in questa intervista esclusiva per i lettori di Culttime.

Lanfranco, qual è l’opera che più di tutte vorresti che i tuoi concittadini venissero a vedere dal vivo presso l’esposizione in corso Cairoli?
Il quadro si chiama ‘Shopping alla piscina di Aleppo’. E’ un lavoro particolare perché prende ispirazione dall’attualità, da una foto che è rimbalzata sui giornali dopo gli ultimi bombardamenti alla città siriana. L’opera infatti raffigura il cratere di una bomba che si è riempito d’acqua, a causa dell’esplosione che ha distrutto le condutture. I bambini, incuranti della devastazione che hanno attorno, l’hanno utilizzata come una piscina, vivendo un attimo di spensieratezza e gioia. Ho immaginato due donne occidentali che vivono la scena: la prima guarda inerme, incapace di aiutare i bambini che ha dinanzi. La seconda è una donna che ha in mano le buste dei negozi: ha appena fatto shopping. E’ un’immagine che vuole evocare gli interessi economici che si celano dietro guerre di questo genere e da cui guadagnano solo i potenti della terra. L’opera è stata realizzata con la tecnica ‘wet on wet’.

Di cosa si tratta? Si differenzia dalle tecniche che hai usato abitualmente finora?
Significa “bagnato su bagnato”, è una tecnica che prende questo nome perché  è possibile applicare un colore fresco, cioè bagnato, sopra un colore non ancora asciugato. Il medium tipicamente usato è l’olio anche se Michele Del Campo, professionista da cui ho appreso questa tecnica durante una Masterclass di pittura svoltasi a Foggia, ci ha mostrato come sia possibile diluire il colore nell’acqua raggia. E’ una tecnica che si presta particolarmente a soggetti paesaggistici, richiamando lo stile impressionista. E’ un metodo che sicuramente non abbandonerò dato che sono un figurativo, parto da un’immagine reale e poi l’arricchisco con sfumature e atmosfere personali. Presto introdurrò anche la figura umana. Nelle mie opere precedenti comunque ho utilizzato più che altro acquerelli e colori acrilici, non escludo anche che si possano ottenere ottimi risultati con la commistione di entrambe le tecniche su un unico quadro. 

Nel mese di ottobre ti sei classificato primo al premio internazionale “Dipingimelfi 2016”: secondo te, perché ha vinto la tua opera? 
Il concorso aveva come tema ‘Melfi, luci e ombre nella storia’ e la mia opera, che ho intitolato ‘Pantarei’, ne ha colto il senso: raffigura La Fontana del Bagno, prima del suo rifacimento avvenuto nel periodo fascista, che rivive arricchita da personaggi come le lavandaie vestite alla pacchiana. Sullo sfondo, una veduta di Melfi antica e delle costruzioni, sulla cui facciata è proiettata l’ombra di Federico II a cavallo. La fontana ha rivissuto proprio perché collocata in una scena animata con le protagoniste che ignoravano la storia di Melfi che le ha precedute, pur andando avanti con la loro esistenza. 
Una bella soddisfazione per un autodidatta. Non hai mai avvertito l’esigenza di seguire invece un percorso didattico vero e proprio?
In verità, durante gli studi universitari ho frequentato un corso libero di nudo e un corso di scultura. Recentemente invece ho avuto l’onore di partecipare alla Masterclass di pittura organizzata da Jam Progetto Arte a Foggia, con la partecipazione del maestro Michele Del Campo: una full immersion di tre giorni dove ho potuto carpire dal vivo il rigore, la preparazione e la tecnica di un importante professionista e che ha iniziato noi corsisti alla tecnica ad olio “wet on wet” che ho utilizzato proprio per le ultime opere, come detto prima. 

Dipingere è un’attività che richiede tempo e spazio: che cosa significa per te oggi esserti riappropriato di un luogo in cui poterlo fare?
Quando ho realizzato di avere l’esigenza di incanalare la mia energia in qualcosa di positivo e gratificante come la pittura ho deciso che mi sarei conquistato lo spazio di cui avevo bisogno: dipingere è un’attività che mal si concilia con le esigenze di una famiglia ma anche affittare uno studio, tentativo che ho sperimentato in passato, si è rivelato non essere all’altezza delle mie esigenze: sapere che oggi ho uno spazio fisico a portata di mano, nel luogo in cui vivo, in cui posso recarmi nel momento in cui sento l’ispirazione, è una vera e propria conquista.

Quale messaggio vuoi trasmettere con le tue opere? 
Il paesaggio non è una raffigurazione di un luogo fisico ma quella di uno stato d’animo:  vorrei che chi guardasse le mie opere trovasse un motivo di riflessione su stesso, che sia un input per conoscersi un po’ più a fondo. Si dice che il quadro sia una sorta di mezzo, il significato è metà nel quadro ma metà anche in chi l’osserva: ogni opera sa toccare la corda giusta ed evocare in chi fruisce l’opera sensazioni individuali.   

Progetti per il futuro?
Sicuramente non abbandonare più questa passione, anzi continuare su questa strada: ciò che conta è la felicità che si prova durante il viaggio. 

                                                                                                                                     Dalila Campanile

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